Napoli: Una mostra su Ribera al museo di Capodimonte, Indagati gli anni giovanili del pittore valenzano
Mentre Napoli sprofonda sempre più nel degrado, la locale sovrintendenza non smette di stupirci e pur tra mille difficoltà logistiche e finanziarie riesce ad organizzare splendide mostre come quella su Ribera, che si inaugura il 22 settembre nelle sale del museo di Capodimonte, dove sarà visibile fino all’8 gennaio. L’esposizione, curata da Nicola Spinosa, si preannuncia come una delle più interessanti della stagione e si pone principalmente lo scopo di investigare gli anni giovanili del grande pittore valenzano. Essa è una versione ampliata di quella già organizzata sullo stesso tema al Prado da Josè Milicua e Javier Portus. Saranno visibili infatti 45 dipinti, 13 in più della rassegna spagnola.
Nel 1616 giunge a Napoli Jusepe Ribera che rappresenterà una delle figure più importanti del Seicento europeo; valenzano di nascita, ma napoletano a tutti gli effetti per scelta culturale, interessi familiari, affinità di sentimenti. A Napoli avrà residenza, affetti, lavoro, protezione e per alcuni anni sarà protagonista assoluto e punto di riferimento indiscusso.
La sua bottega che forgerà alcuni dei maggiori pittori del secolo dal Maestro degli Annunci ai due Fracanzano, dal Falcone a Salvator Rosa, allo stesso Giordano, sarà un punto di riferimento e di scambio culturale anche verso la Spagna, ove giungerà gran parte della sua produzione, mentre dal Murillo allo Zurbaran, fino allo stesso Velazquez, ospite del Ribera per alcuni mesi nel 1630, perverrà a Napoli l’eco della migliore pittura spagnola, il cui influsso possiamo cogliere agevolmente da un’attenta lettura di molte opere del Finoglia, del Falcone, del Vaccaro, del Guarino e di tanti altri ancora. Le sue opere ebbero una notevole diffusione anche per la sua abilità di incisore, grazie alla quale egli riproduceva e moltiplicava le sue opere più significative. Poco sappiamo della sua giovinezza, la tradizione gli assegna come maestro il Ribalta, dal 1611 al 1616 è a Roma, dove con i caravaggisti stranieri, legati da un realismo descrittivo dagli effetti caricati, ci sarà uno scambio fecondo di idee e di esperienze. Di recente, grazie al reperimento di alcuni documenti, il periodo di permanenza nella città eterna è divenuto più ampio e di conseguenza maggiori le opere da ricercare; è stata proposta dal Papi una diversa ricostruzione della sua produzione romana con lo spostamento nel suo catalogo dei dipinti precedentemente assegnati al Maestro del Giudizio di Salomone, ipotesi che per il momento non ha convinto gran parte degli studiosi, anche se lo stesso Spinosa, massimo studioso dell’artista, la ha parzialmente accolta. Certamente però da respingere la pretesa di attribuire al Ribera la Negazione di Pietro(01) della sacrestia della Certosa di San Martino che è opera di un ignoto caravaggista nordico attivo intorno al 1620. La mostra certamente permetterà di approfondire maggiormente la questione, che presenta ancora contorni poco definiti. Al periodo romano intorno al 1614 – 15 è da collocare la serie di dipinti personificanti i cinque sensi, nota inizialmente da copie seicentesche e per il racconto delle fonti (Mancini) ed in seguito identificata in tele certe del Ribera: dal Gusto(02) di Hartford al Tatto(03) di Los Angeles, dalla Vista(04) di Città del Messico all’Olfatto(05) di una collezione madrilena. A quegli anni appartiene anche, per evidenti affinità stilistiche, lo splendido Democrito(06) presso Pietro Corsini a New York. Negli ultimi anni Papi e parte della critica hanno fatto il nome di Ribera nei suoi anni giovanili come autore di tele in precedenza diversamente attribuite. Tra queste segnaliamo: il San Paolo(07) ed il San Bartolomeo(08) della Fondazione Longhi di Firenze, il San Gerolamo(09) delle Gallerie Trafalgar di Londra, il Mendicante(010) della Galleria Borghese di Roma, l’Udito(011) in una collezione privata che andrebbe a chiudere la serie dei Cinque sensi già Cussida e la Negazione di Pietro della Galleria Corsini.
Giunto nel maggio del 1616 a Napoli egli sposerà la figlia del pittore Giovan Bernardo Azzolino ed entrerà nelle grazie del viceré, il duca di Osuna, che diventerà il suo protettore, come lo saranno in seguito tutti i potenti di Spagna, presso i quali il suo prestigio sarà illimitato. Egli del luminismo diede una sua personale interpretazione: il realismo caravaggesco fu infatti profondamente drammatico e sintetico, quello di Ribera fu analitico, caricaturale fino al grottesco. Il Ribera si abbandona ad un verismo esasperato al di là di ogni limite convenzionale col suo pennello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda l’accesa policromia delle più crude immagini sacre della pittura spagnola coeva, segno indefettibile della sua mai tradita hispanidad, ignara dei risultati della pittura rinascimentale italiana. Ed ecco rappresentato un infinito campionario di umanità disperata e dolente, ripresa dalla realtà dei vicoli bui della Napoli vicereale con un’aspra e compiaciuta ostentazione del dato naturale. La sua pittura è carica di materia da poter essere paragonata ad un bassorilievo cromatico, in grado di trasformare il potente chiaroscuro caravaggesco in un’esperienza percettiva tattile. I bagliori della sua tavolozza fanno risaltare la ruvida pelle dei suoi martiri ed in egual misura lo splendore cangiante delle vesti, che a partire dagli anni Trenta segnano il recupero della lezione coloristica della pittura veneta. Con una tavolozza accesa vengono rappresentati con enfasi appassionata e senza alcuna pietà santi ed eremiti penitenti, sadicamente indagati nella smagrita decadenza dei corpi consunti, dalla epidermide incartapecorita e grinzosa, dagli occhi lucidi e brillanti, martirii efferati e spettacolari, giganti contorti in esasperazioni anatomiche, repellenti esempi di curiosità naturali: donne barbute e bambini storpi dal sorriso ebete; tipizzazioni mitologiche spinte fino all’osceno, come la ripugnante figura del Sileno nella dilagante rotondità dell’enorme ventre pendulo; il tutto con un tono superbo e crudele e con accenti di grottesca ironia e di cupa drammaticità. Lentamente la brutalità delle sue prime composizioni che fece esclamare al Byron che il Ribera”imbeveva il suo pennello con il sangue di tutti i santi” cedette ad una maggiore ricerca di introspezione psicologica dei personaggi e ad un lento allontanamento dal tenebrismo per approdare, sotto l’influsso della grande pittura veneziana e dal contatto con la pittura fiamminga di radice rubensiana e vandychiana, a nuove soluzioni di “chiarezza pittorica e di rinnovata cordialità espressiva che culmineranno nello splendido Matrimonio di Santa Caterina (012)del Metropolitan di New York “sintesi superba di naturalismo, classicismo e pittoricismo in una sublime armonia di luci e colori” (Spinosa). “A dispetto della sua reputazione ottocentesca di crudo alfiere di un realismo sadico, Ribera fu anche - in certi momenti soprattutto – classico, dando ai racconti del mito la sensualità dionisiaca del Sileno ebbro(013), la crudeltà del Supplizio di Marsia(014), la compunta triste elegia della favola di Venere e Adone(015). Ma sempre con una capacità unica di rendere tutto palpabile, presente, in grado di magnetizzare la retina dello spettatore”(Lattuada). Dopo il 1640 una grave malattia limitò di molto la sua attività, anche se la collaborazione di una bottega molto valida gli permise di immettere sul mercato ancora molte opere, spesso da lui firmate anche se eseguite solo in parte. Anche nella piena maturità Ribera non rinuncia a certi effetti ottenibili solo attraverso contrasti di luce ed ombra e con la grande Comunione degli apostoli(016) completata nel 1651 per i monaci della Certosa di San Martino egli ci regala la sua ultima opera, che esprime la summa del suo stile, perché ad una visione naturalista del volto degli apostoli si accoppia una solenne scenografia di puro stampo veronesiano. La bottega del valenzano assunse a Napoli un’importanza fondamentale e fu un polo di riferimento culturale per un’intera generazione di pittori, alcuni direttamente suoi allievi, altri come il Giordano, che si formò giovanissimo sui suoi esempi, esercitandosi nell’imitazione a tal punto da sconfinare nel plagio. Il messaggio riberesco si irradiò non solo a Napoli ed in Italia ma in tutta Europa, principalmente in Spagna e fu rappresentato da una pittura che, nata sotto l’influsso del luminismo caravaggesco, seppe cogliere e tradusse in immagini la realtà più intima degli uomini e volle parlare più al cuore che alla mente. Achille della Ragione
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