Mostra su Gauguin ed i suoi miti
L'uomo selvaggio, l'eterno femminino, il paradiso terrestre. Continua il fascino del pittore di nature primitive, celebrato anche come scopritore di flore vergini ed esaltatore di un decoro potentemente suggestivo.
Paul Gauguin (1848-1903) è in mostra alla Tate Modern di Londra fino al 16 gennaio in una grande retrospettiva con più di 150 opere, tra cui, oltre alle sue ben note tele tahitiane, che regalano veramente un piacere nuovo tutte insieme, ci sono anche sculture, ceramiche e suoi divertissements in legno. E' l'evento della stagione accanto a quello di Monet al Grand Palais di Parigi, mentre ad un livello inferiore, per la ridotta quantità di dipinti si situa quello di Roma su Van Gogh. Si esplora nella sede londinese il territorio mitico nel quale l'artista dalla complessa e misteriosa personalità si è mosso. L'intento della mostra mira ad evidenziare l'urgenza dell'elemento narrativo nella sua arte, come risulta dalle ultime parole della sua opera letteraria maggiore, Noa Noa: "Il narratore finisce il suo racconto." Perchè Gauguin sceglie di rappresentarsi nel mito? La sua vita è normale fino ad un certo punto. E' un bancario che sposa una borghese danese ed ha molti figli. Poi decide di dedicarsi alla pittura. "Cerco un buco"- scrive a Mette, trasferitasi a Copenhagen con i figli - forse il punto più derelitto per far partire la sua ricerca cosi fortemente sentita. E' Impressionista per diversi anni; espone i suoi dipinti con i suoi colleghi; frequenta il caffé La Nouvelle Athenes e si nutre di conoscenze letterarie e novità artistiche. Ma tutto cio' non lo soddisfa. Il rifiuto e l'indifferenza per i suoi quadri lo convincono oramai a cercare un altrove diverso. All'inizio è la Bretagna, terra dal suolo granitico e di ataviche superstizioni, percio' il suo quadro "La Visione del Sermone" non piacque alla chiesa; regione ricca di paesaggi rurali in cui danzano semplici paesane dalle bianche collarette, luogo d'ispirazione di quel magnifico "Calvario Verde" del museo di Bruxelles, poi sceglie La Martinica. Qui nel paradiso caraibico dal profumo di terra lontana e misteriosa, dove il rhum e la canna da zucchero rendono laboriosi e felici i coltivatori dei campi; dove tra i frutti tropicali, nella vegetazione lussureggiante costruisce la sua capanna e la dipinge nei suoi quadri, vedi: " Donne tra i Manghi"; ebbene proprio qui ha la rivelazione che l'artista deve risalire sempre più indietro fino alle origini per eternare le forme arcaiche, indistruttibili, quelle nelle quali tutti ci riconosciamo. Ed ecco il ritorno del mito o la sua essenza indistruttibile - direbbe Claude Lévi-Strauss - secondo il quale "I miti si pensano tra loro indipendentemente da noi". Essi operano nella realtà, sfuggendo alla nostra coscienza. Costituiscono la forma della conoscenza più semplice e diretta. Gauguin intuisce il valore universale del pensiero mitico. In una lettera a Mette, con la quale nonostante la crisi coniugale conserva un rapporto epistolare, dice: "Tu sai che ho una doppia natura, quella di uomo civile ormai è scomparsa, lasciando ampio spazio a quella del selvaggio". Infine approda all'ultima spiaggia. A Tahiti soggiorna la prima volta due anni dal 1891 al 1893, anno in cui torna a Parigi, per poi ripartire definitivamente nel 1895, gli ultimissimi anni li trascorre alla isole Marchesi. Continua a privilegiare il mondo femminile fino alla commovente creazione di quelle figure esotiche stilizzate in forme di cultura preesistenziali. Eppure non è la realtà che riproduce sulla tela ma il sogno, che non è solo il suo sogno, bensi' quello dei desideri di tutti gli uomini. Ecco perchè la sua arte parla a noi, ma parlerà ai nostri figli e sempre. Il pregio della mostra in itinere è quello dei progressi compiuti circa i documenti, le numerose lettere, l'interpretazione e la lettura dei suoi manoscritti. Era un letterato e filosofo. Aveva la sue idee politiche, più o meno sulla scia di quelle del padre, giornalista repubblicano, che s'imbarca per il Sud-America per non sottostare a Napoleone III e muore durante il viaggio lasciando il figlio sotto la protezione della madre, che invece era peruviana. Interessante è l'opera dello studioso Victor Segolen, il medico francese di origine bretone, che arrivo' ad Atuana pochi mesi dopo la morte di Gauguin e riusci' a salvare da un'asta che fu una vendita all'insegna del ridicolo , buona parte del suo patrimonio artistico, compresa la decorazione in legno della "Casa della Gioia" esposta in mostra. Ebbene secondo questo scrittore il suo non era un semplice e per alcuni ingenuo sogno, ma un nuovo progetto estetico teso a catturare le tracce di una cultura in declino prima della sua definitiva distruzione ad opera del colonialismo occidentale. "Le orde civilizzatrici arrivano e piantano le loro bandiere: il suolo fertile diventa sterile, i fiumi si seccano; la festa perpetua è finita, non resta che la lotta per la vita ed il lavoro incessante" (Les Guepes 12 gennaio 1900). Tutti i polinesiani credono ai fantasmi e temono fortemente il buio; totem e idoli, quasi un monito al silenzio e all'ascolto delle voci ancestrali della natura, sono rappresentati continuamente sulla tela da Gauguin, che si compenetra nel folclore misterioso degli abitanti dell'isola. Nel quadro in cui l'adolescente sdraiata sul candido lino dal forte contrasto con la sua pelle scura resa potente dai riflessi verso il rosso ed il viola, lo spirito della morte veglia. Si è voluto vedere una certa analogia con "L'Olympia" di Manet, come pure nello spettacolare logo della mostra: "Nevermore". L'artista di Tahiti sublima la realtà di quelle innocenti creature, che praticavano il libero amore prima di conoscere la prostituzione. Spesso erano oggetto di stupro e violenza da parte degli invasori francesi, a volte untori di malattie veneree. Gauguin stesso aveva la sifilide. Cio' nonstante il mondo femminile che riproduce è un mondo casto senza desideri sessuali, è un luogo idilliaco. La presenza quasi costante del duo femminile è di grande suggestione poetica. Una forma di dialogo che in alcuni casi giustifica il titolo: "Sei forse gelosa?" Nasce come esigenza di un alter ego, oppure dalla contraddizione esistenziale nel quadro: "La Vita e la Morte", un'immagine interiorizzata, a lui particolarmente cara. Amante e studioso della razza dei Maori forgio' un nuovo tipo di bellezza femminile, riconoscibile in una eleganza di portamento molto naturale. L'androginia delle donne le fa confondere con gli uomini, in quanto a differenza della razza mediterranea hanno i fianchi stretti e le spalle larghe. Gauguin ci fornisce nell'ultimo suo scritto: "Avant et Après" finanche la spiegazione dello sviluppo nel tempo della muscolatura superiore. Abituati da sempre a fare tutto da soli, si costruivano con le loro mani le case e gli utensili. Erano costretti per mangiare a salire sugli alberi, per cogliere cocchi ed altro. Mentre prima correvano senza scarpe ed i loro piedi erano forti, ora invece con le scarpe, imposte dalla civiltà, sono diventati fragili. Il "Sacro" è molto sentito da Gauguin. Egli tenta un approccio verso tutte le religioni. Studia il Cattolicesimo ("La chiesa cattolica e i tempi moderni") ed il Protestantesimo, ma critica l'opera delle missioni cristiane, che hanno distrutto l'antica tradizione locale, introducendo l'idea del "peccato". E forse come qualche studioso ha voluto vedere, la malinconia e l'inquietudine presenti sui volti delle fanciulle tahitiane sono dovute a quei famosi vascelli approdati per la prima volta un di' lontano sull'isola vergine, come indica in un suo quadro la presenza di una nave. Il desiderio di narrare e di narrarsi, sebbene per enigmi, è molto forte in Gauguin e lo accompagna in tutta la sua carriera artistica. Nell'autoritratto del 1888 "I Miserabili", che offre a Van Gogh ad Arles, si dipinge nei panni di Jean Valjean, la cui tristezza è ammorbidita dal decoro dei fiori delle stampe giapponesi, mentre alla parete compare un omaggio all'amico Emile Bernard. Ancora s'interroga nel capolavoro finale "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?" di Boston, forse l'unica opera più importante assente in mostra. Sono titoli allusivi ed elusivi in lingua tahitiana. Quest'ultimo dipinto dalle dimensioni notevoli (139cm/374cm) costituisce la sua summa pittorica, di cui tanti quadri precedenti sono una parziale anteprima: "La pastorale tahitiana" capolavoro della Tate, "Le acque deliziose" o l'incanto della poesia visiva palese nel dipinto: "Il giorno di Dio" di Chicago. Consapevole della sua superiorità pittorica vuole scuotere il mondo intero, facendo suo il motto di Oscar Wilde: "l'arte è vita e la vita è arte". Visse impersonando gli attori del suo teatro. E' santo nel "Cristo giallo", ma ancora più interessante nel ritratto di sè stesso con quel Cristo dietro accanto al vaso con le sue sembianze (Fig.1). E' folle e diavolo nel dipinto che lo rappresenta come lucifero. "La vita é poca cosa, eppure ci permette di fare grandi cose"(Avant et Après). Il maestro della Scuola di Pont-Aven, che dava lezione di semplificazione nella pittura e di forte decoro nei colori durante il soggiorno in Bretagna, influenzo' notevolmente le correnti artistiche successive, dai Nabis ai Fauves. Ma la sua fama é legata a quell'Eden tahitiano meravigliosamente creato dal suo pennello, alla sua Ondina e all'Eva Nera, nuovi modelli di bellezza muliebre. Alla stregua di un saggio indù sanciva precetti e formulava sentenze dal magico suono di mantra divini del tipo: "Siate innamorate sarete felici"," Siate misteriose". Faceva con le sue mani interessanti bassorilievi in legno, come quello con la scritta menzionata, che adornava anche l'ultima sua capanna ad Atuana nelle isole Marchesi, dove finisce gli ultimi giorni veramente tristi della sua vita. Abbandonato da tutti, scrive al suo amico Daniel De Monfreid che desidera morire in patria, pregandolo d'inviargli i soldi per il viaggio, ma gli viene risposto che solo restando lontano sarebbe entrato nella leggenda. Poco dopo la sua morte il mercante Ambroise Vollard prepara una importante e redditizia asta dei suoi quadri. Paul Gauguin era un selvaggio e volle restare tale, per questo l'ultimo suo alter ego, impersonato dal famoso OVIRI del museo d'Orsay, un mostro scultoreo, era situato al suo capezzale il giorno della sua morte. ELVIRA BRUNETTI
|